Stefania Bertola

Quando scrivo i miei romanzi è come partire

Avete presente quanto ci faceva felici da bambini aver la pancia piena di cioccolato? Ecco, è più o meno questa la sensazione che ho provato quando ho intervistato Stefania Bertola. Che poi, diciamoci la verità, le avevo chiesto di poterle fare due domande certa che tra un impegno e l’altro non avesse tempo per me. Mi sbagliavo… mi sbagliavo di grosso perché non solo mi ha risposto in pochi giorni, ma è stata anche disponibilissima. Scambiando un po’ di mail e leggendo le sue risposte mi è stato subito chiaro perché io ami così tanto i suoi personaggi. Sono esattamente come lei, ironici e reali, personaggi che ti fanno compagnia con naturalezza, come fossero amici, amori, compagni di avventure.

Scambiando quattro chiacchiere davanti a un caffè, Stefania Bertola mi ha raccontato cose che, inutile dirlo, prenderò come spunto, perché l’ironia non va mai lasciata in una scatola chiusa a prendere polvere.     STEFANIA BERTOLA

L’ironia è uno degli ingredienti principali delle tue storie. Quanto conta riuscire a prendersi meno sul serio?

Non so mai come rispondere a queste domande sull’ironia, perchè l’ironia è un fiocco di neve, un fiore aperto, le ali di una farfalla… qualcosa che come lo tocchi, svanisce. Quando una persona dice di se “Sono molto autoironica” in realtà vuol dire che si prende terribilmente sul serio. Se non ti prendi  sul serio, per prima cosa non ti definisci tanto, non stai lì a spiegare agli altri come sei e come non sei. Vivi, e basta, e lasci che ciascuno pensi un po’ di te quello che vuole. E questo modo di vivere la vita si, conta moltissimo, perchè ti lascia un sacco di spazio per altre persone e altre cose, mentre pensare tanto a se stessi riempie in un attimo lo spazio mentale ed emozionale. Insomma, forse se proprio dobbiamo definire l’ironia, diciamo che è non mettere se stessi al centro del mondo, vedere tutto un po’ di striscio.

Colpiscono i tuoi personaggi perché hanno sempre caratteri reali, spesso sono buffi, impacciati, insomma persone come noi. Come nascono?

Nascono un po’ dappertutto, come i moscerini della frutta! Dalla vita reale, soprattutto, perchè magari si tratta di persone esistenti appena un po’ modificate, o, più spesso, mix di più persone. Nascono dalla letteratura, perchè a volte riprendo personaggi dei miei libri preferiti, a loro chiedo in prestito tratti del carattere o atteggiamenti verso la vita. Nascono da un nome letto sul giornale, dalla targa di un ufficio, da uno spot in tivu, da qualsiasi cosa, compreso il nulla che a volte riempie deliziosamente il mio cervello. Però, una volta nati, subiscono tutti la stessa sorte: diventare (se ci riesco) credibili, o almeno interessanti, essere, come tu dici, persone come noi, o se non proprio come noi, come qualcuno che abbiamo conosciuto.

STEFANIA BERTOLA

Ha un luogo preferito per scrivere Stefania Bertola?

Di solito scrivo alla mia scrivania, nella grande stanza dove lavoro, in mezzo al caos: carte, cartacce, libri, giornali, elastici..penne.. di tutto. Ho un giardino, ma non so perchè non vado mai a scrivere lì, forse perchè non ci arriva Internet, dato che  mentre scrivo, qualunque cosa io scriva, controllo e guardo sempre mille robe. Invece scrivo spesso in cucina, mi porto giù il Mac e lavoro mentre cucino, sto lì mentre il sugo sobbolle o la pentola a pressione fischia, e mentre controllo il pranzo o la cena, scrivo. Un altro posto dove mi piace molto scrivere è la casa al mare, ma purtroppo riesco ad andarci pochissimo.

Oltre a essere scrittrice, sei autrice di programmi radiofonici, di spettacoli teatrali e traduttrice. Hai costruito la tua vita intorno alle parole. Cosa significa per te scrivere?

Boh. Veramente, non lo so. La risposta più facile è che per me significa guadagnarmi la vita. Da quando ricordo, i soldi che servono per l’affitto, la spesa e tutto il resto li ho sempre messi insieme così, a furia di parole. Sono il mio attrezzo di lavoro, sono quello che so fare, in cui mi sono impegnata, che ho cercato di portare a un certo grado di efficienza. Però scrivere è anche il mio divertimento, la mia vacanza: quando scrivo i miei romanzi, è come partire, andare in un’altra vita o in un altro luogo che si chiama “romanzo” e passare del tempo lì, a divertirmi con quelle persone. Ed è anche il modo in cui comunico meglio i miei sentimenti o il mio pensiero: quando devo dire qualcosa di importante a qualcuno, se scrivo viene bene, se parlo faccio pasticcio.

Cartaceo o ebook?

Entrambi. I libri di carta sono quelli da conservare, sull’ebook scarico quelli che ho voglia di leggere ma poi non saprei che farmene. Poi l’ebook è comodissimo perchè puoi portarti in giro quei thriller fantastici che mi piacciono tanto, da 500 pagine, senza soffrire sotto il loro peso. E ha di bello anche il senso di onnipotenza che ci da: sono al mare, a mezzanotte, isolata, e ho voglia di un libro nuovo da leggere? Plic plac, schiaccio un paio di tasti e il libro arriva. Bello, no? Però sono consapevole che basta un piccolo guasto elettronico e migliaia di pagine svaniscono. Quindi i libri a cui tengo li voglio veri.

Uno scrittore con cui prenderesti un caffè?

Uno era David Sedaris, e ce l’ho fatta, anzi, abbiamo addirittura cenato insieme. Un altro è Javier Marias, però a patto di usufruire di una piccola magia e per due ore sapere lo spagnolo.

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