Marco Corbi: il poeta che ama la solitudine
Incontro Marco Corbi vicino al mare in un lunedì mattina di pioggia. Iniziamo a parlare subito di letteratura, argomento che pilota tutta la nostra intervista. Beh sì, del resto lui è un poeta, mi confessa di non saper scrivere romanzi e di amare la solitudine. Livornese atipico, nelle sue parole scorgo molta passione per la scrittura e per la lingua italiana, dettaglio non semplice da trovare oggi in chi scrive. Davanti a un caffè mi parla di poesia, passato, libri e progetti quasi pronti a diventare concreti.
Come e quando sei entrato nel mondo della scrittura?
Ero alle medie. Credo che molti di noi avessero un taccuino in quegli anni. Fin da quei tempi quando prendevo la penna in mano mi veniva da scrivere cose molto brevi, scrivevo poi cancellavo e lasciavo sempre meno pensieri sul foglio.
Hai vissuto per molti anni a Londra, Milano e Roma. Quanto ti sono servite quelle esperienze per la scrittura?
La scrittura fa parte della vita, quindi ci sono due rimbalzi che nascono da queste esperienze, uno è generico perché abitare in quei luoghi ti dà una visione più ampia delle cose, l’altro è diretto e si può definire ispirazioni, idee. Gli scenari metropolitani mi piacciono molto perché è talmente grande il contesto che è più facile entrare in quel cono d’ombra in cui, annullandomi, mi sento totalmente a mio agio e mi ricarico.
È importante leggere per chi scrive?
Credo che per essere persone aperte al mondo e al passo con i tempi sia necessario leggere tanto. La lettura è un allenamento, se una persona non legge non è allenata alla vita. Io ho sempre letto molto già da bambino perché in casa mia si leggevano due quotidiani al giorno, uno locale e uno nazionale. Ancora oggi leggo principalmente il quotidiano nazionale. Per quanto riguarda i libri amo il noir perché è eversivo mentre il poliziesco è rassicurante, ma credo che i libri si dividano in buoni e meno buoni, quindi se c’è un romanzo di fiction che mi piace lo leggo.
Il libro che stai leggendo?
Anatomia di un istante di Javier Cercas.
Nel tuo “Zero” non usi punteggiatura…
No, non la uso perché credo che lo spazio bianco sia importante non meno delle parole.
Non ami la scrittura emozionale. Perché?
Porto avanti da tempo una battaglia contro quel tipo di scrittura. Le emozioni non aiutano a scrivere bene. Le emozioni nascono gassose, devo prima aspettare che arrivino allo stato argilloso, devo trasformarle in idee, a quel punto posso iniziare a lavorarci, a rendere tutto più concreto e pensare di poter scrivere bene. Io devo essere vuoto quando scrivo, ecco perché mi piace farlo all’alba. Non posso scrivere sull’onda delle emozioni, lo faccio con il loro sapore, con il loro ricordo.
I progetti letterari futuri di Marco Corbi?
Con la Mds editore stiamo definendo una seconda raccolta di poesie. Probabilmente uscirà nella primavera del 2017. Sarà un progetto nuovo in cui potrebbe esserci una appendice non poetica.
Uno scrittore o poeta con cui vorresti prendere un caffè?
Kostantinos Kavafis. Settantacinque poesie nell’edizione bianca Einaudi è un libro veramente bellissimo (mi mostra con un certo orgoglio il libro n.d.r.). Tra i contemporanei Valerio Magrelli mi piace molto.