Matilde Vittoria Laricchia tra la poesia e il teatro
Dopo un po’ che racconti storie interessanti diventa tutto più semplice. Capire quel dettaglio che distingue gli artisti è quasi naturale. Non che ci siano artisti di diverse serie, semplicemente esistono diversi stili, diverse emozioni che si riesce a trasmettere. Del resto, si sa che l’arte viaggia sempre su binari impalpabili, emotivi. Proprio questa attitudine – ma mi verrebbe più da chiamarlo sesto senso – di percepire cosa si nasconde dietro a qualcuno che ha trasformato la sua passione in qualcosa di più perché ci crede fino in fondo, mi ha fatto imbattere in una ragazza toscana che dell’arte ha fatto la sua strada, prima con il teatro, poi con la poesia: Matilde Vittoria Laricchia, che nel 2013 ha pubblicato la sua raccolta Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto.
Matilde Vittoria, nome molto elegante. Quante volte da piccola gli amici lo hanno dimezzato, sbagliato, abbreviato, insomma anche tu hai avuto il destino di “quelli con il nome doppio”?
Negli anni Ottanta, quando sono nata io, poche bimbe piccole si chiamavano Matilde. Anzi, a Livorno nessuna. Perciò le mie coetanee, almeno fino alle scuole elementari, lo hanno sempre storpiato. Le due storpiature più belle: Matigre e Matita. Per quanto riguarda Vittoria, in realtà non l’ho mai utilizzato, né mai mi son fatta chiamare Matilde Vittoria. Troppo lungo e un po’ pesante.
Io ti ho conosciuta come scrittrice, in realtà sei anche attrice teatrale. Cosa ti ha spinto a scegliere la facoltà di giurisprudenza che di artistico non ha poi molto?
Se avessi dovuto scegliere la facoltà in base ai miei talenti e interessi, già a diciannove anni, avrei scelto Lettere, ma non l’ho fatto perché temevo che sarebbe poi stato difficile “trovare lavoro”. Legge del contrappasso ha voluto che adesso sia difficile trovare lavoro qualsiasi laurea si abbia in tasca. Alle facoltà scientifiche a dire il vero non ho mai pensato perché, dalle elementari al liceo, non ho mai brillato in matematica, né in fisica o chimica. Purtroppo non hanno mai fatto parte del mio dna. La scelta è caduta così, forse un po’ per esclusione, su Giurisprudenza.
Chi è Matilde quando non scrive?
Leggo, amo il cinema, il teatro, mi piace moltissimo la moda – da quando ero molto piccola -, sono curiosa d’arte – musei e libri d’arte -, e mi piace scoprire la città in cui vivo (Firenze). Insomma, sono una persona normale, con qualche interesse.
Quanto è rimasto di te bambina?
I capelli ricci. E la curiosità.
Il libro che hai sul comodino?
Lavorare stanca di Pavese
Cartaceo o ebook?
Cartaceo. Non che sia contraria all’e-book, anzi. Ma credo di essere più una persona da libro di carta, non so…
Veniamo all’avventura (coraggiosa) della Origini Edizioni…
Origini edizioni è stata la conseguenza naturale di tre anni di felice collaborazione con il fotografo Valentino Barachini per la realizzazione di libri d’artista in edizione limitata, numerati e firmati. Il cosìddetto self publishing d’artista, che da qualche anno stuzzica molto i collezionisti d’arte. Il mio contributo è stato sempre per i testi, per la linea narrativa delle foto nei nostri libri. Così abbiamo pensato d’iniziare a volgere il nostro sguardo anche oltre i miei testi e le sue fotografie, aprendoci a collaborazioni con altri artisti e pubblicazione di plaquétte di altri autori italiani, che provvediamo a tradurre sempre anche in inglese proprio per facilitarne la fruizione al nostro pubblico straniero. Distribuiamo in Belgio, Germania, Francia e Svizzera. La difficoltà più grande è conquistare le librerie italiane, ancora poco abituate a questo genere.
Sogni da strappare fuori dal cassetto?
Poter continuare a lavorare molto e bene per Origini edizioni e poter dare un impulso alla poesia italiana contemporanea, quella dei giovani più sconosciuti e dotati. Non solo lo merita, ma ne ha proprio bisogno.
Il suo libro: Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto, Puntoacapo editrice.