Alessandro Gauci. Un fotografo non deve avere, deve sentire
Conosco Alessandro Gauci a dicembre durante un matrimonio, mentre faceva esattamente quello che è il suo lavoro, il fotografo. Le foto sono sempre dettagli importanti che ti rubano l’attenzione ed è proprio per capire cosa si nasconde dietro un obiettivo che gli ho chiesto un’intervista, per capire cosa si cela dietro la preparazione dello scatto, del momento giusto in cui premere quel tasto perché basta una frazione di secondo in più che quello è già scappato, volato via chissà dove. Mi ha accolto in un giovedì pomeriggio nel suo studio e, tra uno sguardo alle foto in mostra, momenti più significativi dei vari matrimoni e uno squillo del telefono un po’ mio un po’ suo, mi ha raccontato i motivi che lo hanno portato alla decisione di diventare Alessandro Gauci fotografo professionista.
Cosa ti ha portato a lasciare il tuo lavoro di rappresentante per un’attività in proprio?
La passione. Solo quella. All’inizio anche parlando con i miei genitori, tutti mi consigliavano di fare entrambe le professioni, di non lasciare subito il mio lavoro. Ed è quello che ho provato a fare per un mese, ma dall’apertura del primo studio ho capito che quella era la mia strada, non con poche difficoltà, a livello di mercato, ma era quello che volevo.
Credo proprio che ti sia cambiata la vita.
Mi è propria cambiata la vita. Ora devo avere attenzioni che da dipendente non avevo. Da piccolo imprenditore devo pensare a fatture, appuntamenti, commercialista e tante altre cose.
Come hai iniziato?
Beh, a livello amatoriale fotografo da sempre, da quando avevo tredici o quattordici anni, lo facevo con la macchina a pellicola di mio padre. Non l’ho portata molto avanti per un motivo economico perché i rotolini costavano, quando li andavi a sviluppare essendo così giovane qualcosa veniva qualcosa no. Poi col tempo l’ho usata sporadicamente per viaggi, per cose private fino al 2008 quando per caso mi capitò di prendere una piccola compatta digitale e da lì ho capito che dentro di me c’era qualcosa che per anni non avevo preso in considerazione. Così, sono riuscito a mettermi da parte qualche soldo per comprare la Mark II.
Il primo matrimonio che hai fotografato?
Era il 2012, lo feci insieme a un amico fotografo professionista.
Quando la decisione di aprire il tuo studio?
Nel 2013, il primo era sul viale Italia qui a Livorno, poi da marzo dello scorso anno mi sono trasferito in questo in cui siamo ora.
La caratteristica che secondo te deve avere un fotografo che si occupa di matrimoni?
Da quando faccio questo lavoro ho capito che scatti in base a come sei. Il carattere, l’esperienza, il tuo vissuto, le tue sensazioni, quelle riesci a trasmetterle attraverso gli scatti. Possiamo dire che se non senti, non fotografi, o meglio se non riesci a vedere una determinata situazione o, in alcuni casi, ad anticiparla non la fotografi e perdi l’attimo. Le devi anche un po’ immaginare prima. Quindi cosa deve avere un fotografo… (ride n.d.r) non deve avere, deve sentire.
Quindi meglio una foto bruttina ma ricca di significato di una bellissima ma senza emozione?
Certo. Infatti esistono tre tipi di fotografia, la commerciale, quella bella esteticamente e quella bella perché esprime emozioni.
Oltre ai matrimoni ti occupi di servizi fotografici per bambini.
Sì, all’inizio pensavo di farlo insieme alla mia compagna, poi è arrivata l’occasione di questo franchising (Junior Photo Planet n.d.r) e insieme ai matrimoni fotografo i bambini. Ho anche la sezione Newborn in cui scatto foto ai piccoli di pochi giorni.