Mauro Corticelli: scrivere è un viaggio dentro se stessi
Con gli scrittori starei sempre a chiacchierare, ma di quelle chiacchiere fitte che ti ricordano un po’ le confessioni tra i banchi del liceo. Credo che gli scrittori abbiano dentro un mondo fatto di tanti colori, tante piccole sfumature che fanno la differenza. I loro libri lo dimostrano. A colpirmi di Mauro Corticelli che può essere senza dubbio “catalogato” – passatemi il senso più piacevole del termine – tra gli scrittori che narrano qualcosa, è la sua semplicità, la passione per la scrittura che trasmette anche attraverso uno schermo. Mi ha parlato un po’ di sé, di chi ha il coraggio di mettersi in gioco e condividere sensazioni ed emozioni con gli altri, i suoi lettori.
Sei bolognese, sei cestista e scrittore, non sai pronunciare la lettera z. Altri dettagli che dobbiamo sapere su di te?
Si potrebbe aggiungere che per pagare il mutuo faccio l’impiegato, come dico spesso, un Fantozzi qualunque con tanti sogni da realizzare e spesso irrealizzabili.
Da cosa nasce il tuo bisogno di scrivere?
Scrivere ha sicuramente un potere terapeutico. Ti permette di guardarti in profondità, è un viaggio dentro se stessi alla scoperta di fantasie e storie, a volte molto strane. In più, per me, è una valida palestra contro la mia pigrizia.
Sul tuo blog (maurocorticelli.blogspot.it/)racconti spesso storie legate a Bologna. Cos’è per te la tua città?
Tra Bologna e me c’è un rapporto viscerale. Oggi vivo in provincia per necessità famigliari e comodità lavorative ma appena posso prendo la macchina e vado in centro per una “vasca”. È una città perfetta in cui ambientare storie di ogni genere, è romantica, misteriosa, i bolognesi sono ironici. Credo sarà difficile ambientare i miei romanzi altrove.
Cosa sognava il Mauro bambino?
Mauro bambino voleva fare il veterinario, poi l’architetto. Da ragazzino ho avuto qualche velleità di diventare un giocatore professionista di basket… niente di tutto questo. Oggi mi occupo di acquisti e logistica che di solito non fanno parte dei sogni dei bambini.
Nescafè Frappè è il tuo primo romanzo. Curiosa l’idea del titolo…
Nescafé Frappé è nato in Grecia sull’isola di Cefalonia. È lì che ho iniziato a scriverlo. Questo Frappé è una delle bevande più bevute durante le caldi estati greche. L’idea mi è venuta pensando alla storia, la vita di quattro donne e quattro uomini che si mescolano proprio come in un frappé, spero altrettanto gustoso.
Il tuo ultimo libro, Hannover Dream, è uscito da poco nelle librerie. Ce ne parli?
Potrei raccontare molte cose. È stata soprattutto una sfida. Pubblicare il primo romanzo può sempre essere una casualità fortuita, riuscire a pubblicare il secondo con la Pendragon, un punto di riferimento dell’editoria bolognese è stata una grandissima soddisfazione. Considerato che in questo romanzo ho giocato e mi sono messo in gioco per il genere, un noir, per la struttura narrativa, un dialogo, infine per essermi inventato un personaggio principale non Bolognese ma di Genova con tanto di modi di dire e usanze liguri. Poi c’è la storia, quella di un architetto, Filippo Doria incastrato in un omicidio a causa del suo stile di vita libertino e il suo tentativo di convincere una giornalista alquanto bigotta a raccontare la sua versione dei fatti aiutandolo a scagionarsi.
Nuovi progetti da realizzare?
Di recente ho aperto un documento famigliare a cui non mi ero mai avvicinato per una strana forma di imbarazzo, il diario di prigionia di mio nonno paterno, negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ stata una lettura molto coinvolgente, dal punto di vista storico e, ovviamente, da quello personale, scoprire che tuo nonno, non è stato solo nonno, ma è stato prima di tutto un uomo, con le sue debolezze e le sue ansie. Mi piacerebbe prendere spunto da questo documento per intrecciare due storie, una moderna e una di un prigioniero come fu mio nonno.
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Il suo libro: Hannover Dream, edizioni Pendragon.